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Buongiorno, sono Alfredo Ercoli, Direttamente del Dipartimento per la tutela della salute
della donna e della vita nascente del Policlinico di Abano Terme, in particolare mi occupo di
ginecologia oncologica, di endometriosi e di chirurgia funzionale pelvica.
Vengo dalla scuola dell’Università Cattolica del Prof. Giovanni Scambia e l’argomento
che vorrei trattare con voi quest’oggi è il trattamento laparoscopico robotico dell’endometriosi.
Come tutti sapete l’endometriosi è una patologia estremamente diffusa e fortemente
invalidante in molti casi, perché colpisce gli aspetti più sensibili della sfera della
donna, vale a dire la riproduzione, la fertilità e la qualità di vita in particolare in quella
che è la componente dolore che caratterizza questo tipo di patologia.
Esistono vari tipi di endometriosi: la forma più frequente l’endometriosi dell’ovaio,
il cosiddetto endometrioma, una cisti a contenuto ematico, vengono infatti definite ciste cioccolato,
abbiamo poi l’endometriosi superficiale, degli impianti di tessuto endometriale al
di fuori dell’utero e in particolare nel peritoneo che sono responsabili in genere
del dolore mestruale, in seguito possiamo trovare la cosiddetta endometriosi profonda
che sarà l’oggetto della nostra trattazione che sono delle lesioni endometriosiche che
penetrano profondamente al di sotto del peritoneo per una profondità di almeno 5 millimetri
e che creano una situazione caratterizzata da un’iperplasia fibromuscolare dei tessuti
circostanti che circondano il focus, la lesione endometriosica e danno quindi quell’aspetto
di nodulo che viene visualizzato taluna con l’ecografia o con la risonanza magnetica
e che poi in ultima analisi è responsabile del dolore che caratterizza questo tipo di
patologia. L’endometriosi profonda in particolare può
interessare i cosiddetti legamenti utero – sacrali che sono due legamenti posti posteriormente
alla cervice uterina, il cosiddetto setto retto – vaginale che è lo spazio, il tessuto
interposto tra il retto e ***, il fornice vaginale, la parete vaginale posteriore dove
in alcuni casi si possono riscontrare delle vere e proprie lesioni, cisti endometriosiche
anche responsabili di sanguinamenti per esempio in occasione di rapporti e infine noduli endometriosici,
principalmente localizzati sulla parete del retto o del sigma al di fuori delle localizzazioni
appena menzionate. Altre localizzazioni di endometriosi profonda
potenzialmente suscettibile di una terapia chirurgica e fortemente invalidanti sono ovviamente
le localizzazioni del cosiddetto parametreo, i tessuti laterali all’utero in corrispondenza
dell’uretere e in sede vescicale, queste però sono molto più rare rispetto all’endomestriosi
intestinale che è la forma più frequente di endomestriosi profonda, quando operare
un endometriosi un endometriosi intestinale? Un terreno di ampia discussione, sostanzialmente
possiamo dire che essa andrebbe operata nel momento in cui la paziente presenta un dolore
che è in grado di ridurre significativamente la sua qualità di vita, o anche in presenza
di sintomi, soprattutto dolore riferibili a endometriosi che non siano stati risolti
in occasione di una pregressa chirurgia, allorquando la pazienta rifiuta o non è in grado per
ragioni mediche di essere sottoposta a una terapia medica o infine quando questi noduli
endometriosici possono, provocano una stenosi, una riduzione di calibro delle porzioni intestinali
interessate dalla malattia. Che tipo di chirurgia fare in questi casi?
Anche qui non vi è un consenso internazionale né italiano sul tipo di approccio chirurgico
da preferire, sicuramente l’approccio mininvasivo è attualmente l’approccio più utilizzato,
più diffuso, però il tipo di chirurgia da fare è estremamente controversa, sostanzialmente
possiamo trovarci di fronte alla necessità o almeno all’ipotesi di dover fare o una
resezione intestinale o una resezione parziale dell’intestino, una cosiddetta resezione
discoide del solo disco di parete intestinale interessata dalla lesione, o infine di fare
quello che viene chiamato shaving una pulizia, una rasatura vera e propria, dal termine inglese
shave della parete intestinale al fine di rimuovere tutta la porzione interessata dall’endometriosi,
senza vero arrivare a fare una resezione vera e propria di una porzione di intestino.
La differenza sostanziale tra i due tipi di intervento attualmente per quello che è dato
conoscere in letteratura, fondamentalmente riguarda il tipo e la frequenza delle complicanze,
una resezione segmentale dell’intestino infatti è comunque gravata da circa un 10%
di reinterventi, il che vuole dire che una donna su 10 avrà una complicanza grave che
porta a un nuovo intervento, viceversa lo shaving, la rasatura della parete intestinale,
ha un tasso di complicanze intorno allo 0,5%, quindi è estremamente ridotto.
La nostra esperienza in questo caso per quanto riguarda il trattamento laparoscopico e robotico
dell’endomestriosi colon- rettale riguarda 22 casi consecutivi fatti negli ultimi 12
mesi circa, dei quali 10 sono stati trattati con una resezione intestinale segmentaria
e 12 con il cosiddetto shaving di cui abbiamo or ora parlato.
Questa serie è probabilmente la più importante serie europea di trattamento robotico dell’endometriosi
profonda, ma quello che mi interessava maggiormente discutere in questa intervista era come l’approccio
robotico abbia cambiato il nostro atteggiamento terapeutico nei confronti dell’endometriosi,
noi siamo abituati nel momento di trattare questo tipo di patologie, a cominciare la
dissezione del nodulo e poi decidere in corso d’opera, durante la chirurgia se fare o
meno una resezione segmentaria dell’intestino in funzione delle dimensioni e dell’estensione
della parete rettale coinvolta. L’approccio robotico ha cambiato nel tempo
notevolmente la nostra attitudine, perché? Perché se prima i noduli di dimensioni superiori
ai 3, 4 centimetri venivano tutti trattati quasi inevitabilmente come una resezione segmentaria,
proseguendo con l’approccio robotico nella preparazione delle sezioni, ci siamo accorti
progressivamente che riuscivamo a fare un eccellente shaving, un’eccellente rasatura
della parete rettale senza produrre lesioni nella mucosa e riuscendo a asportare anche
lesioni fino a 4, 5 centimetri di diametro e di interessamento della parete rettale.
La chirurgia robotica infatti grazie alla visione tridimensionale e all’articolazione
degli strumenti permette un eccellente visione, come state vedendo in questo video, un eccellente
possibilità di dissezione, vedete qua i nervi ipogastrici come sono perfettamente scheletrizzabili.
Oppure vedete in questo punto abbiamo aperto la parete vaginale posteriore, adesso pungiamo
la lesione endometriosica, vedete il liquido di cioccolato che esce, asportiamo la porzione
di parete vaginale e risuturiamo la ***. Quello che è interessante notare è che in
tutta la nostra serie abbiamo osservato in tasso di complicanze zero, lo so che fa sempre
un po’ ridire o comunque dà dei dubbi sentire “tasso di complicanze zero” ma effettivamente
e probabilmente per la qualità della dissezione e per il minor sanguinamento, per la maggiore
pulizia in genere dell’intervento, sia nei casi di resezione, sia nei casi di shaving
non abbiamo osservato nessuna complicanza maggiore che abbia riportato in sala operatoria
la paziente, né alcuna complicanza funzionale generalmente legata alla derivazione vescicale
in caso di dissezione nei tessuti laterali all’utero.
In conclusione l’approccio robotico all’endometriosi profonda ha cambiato notevolmente il nostro
atteggiamento nei confronti della nostra patologia, per ora con eccellenti risultati che ovviamente
non sono in termini di complicanze, ma anche di efficacia sul dolore che è assolutamente
sovrapponibile a quella ottenibile con la resezione laparoscopica classica, anche se
ovviamente andrà poi verificata nel tempo, perché il periodo per cui stiamo seguendo
queste pazienti è ancora relativamente breve, solamente un anno, l’unica cosa che posso
dire con certezza è che siamo ben felici di questo approccio robotico e che probabilmente
questo per le caratteristiche intrinseche della metodica, permetterà di modificare
in buona parte l’atteggiamento nei confronti di questa patologia in una maniera meno probabilmente
traumatica per la paziente.